Non tragga in inganno il verbo aulico e l'incedere solenne della lirica
perchè Il Galeone non è canto d'altri tempi, bensì una poesia recente,
dal titolo Schiavi, scritta dentro le mura del carcere di Fossombrone
nel 1967 dall'anarchico carrarese Belgrado Pedrini.
La musica fu poi arrangiata da Paola Nicolazzi sulla note della canzone
popolare titolata, quando si dice l'ironia della sorte, Se tu ti fai monaca,
omettendo però nella stesura finale la quarta e l'ultima strofa del testo
originale, licenza dettata da esigenze di metrica e sintesi artistica.
Il galeone è in realtà metafora e simbolo onirico di quella galera infame
in cui l'autore venne ingiustamente recluso per decenni con l'unica colpa
d'essersi opposto strenuamente alla dittatura fascista, iniziando l'impari
battaglia in anticipo coi tempi, e cioè ben prima del fatidico 8 Settembre.
Scarcerato alfine nel Luglio 1974, per grazia concessa dall'allora presidente
Giovanni Leone, non appena uscito viene di nuovo arrestato, condannato
a scontare tre ulteriori anni di pena, con l'accusa di tentata evasione,
e rinchiuso in una colonia di lavoro forzato nei pressi di Pisa.
Morirà a Carrara nel 1979, lasciando ai compagni l'inestimabile eredità
d'una vita indomita, il fulgido esempio di coerenza ideale e questo canto.
Il suo non fu certo l'unico caso del genere, solo il più assurdo ed infame:
prigioniero dello stesso stato democratico che, insieme al nobile sacrificio
di tanti protagonisti della lotta partigiana, aveva contribuito a salvare.
Vollero domarlo, annichilirlo e seppellirne pure la memoria, ma invano,
perchè nemmeno le sbarre del regime post-fascista poterono fiaccarne
lo spirito resistente ne tantomeno arrestare il volo alto e libero della sua
voce ribelle.
Schiavi (Il Galeone) - Belgrado Pedrini
Siamo la ciurma anemica
d'una galera infame
su cui ratta la morte
miete per lenta fame
Mai orizzonti limpidi
schiude la nostra aurora
e sulla tolda squallida
urla la scolta ognora
I nostri dì s'involano
fra fetide carene
siam magri smunti schiavi
stretti in ferocatene
Nessun nocchiero ardito
sfida dei venti l'ira?
Pur sulla nave muda
l'etere ognun sospira
Sorge sul mar la luna
ruotan le stelle in cielo
ma sulle nostre luci
steso è un funereo velo
Torme di schiavi adusti
chini a gemer sul remo
spezziam queste carene
o chini a remar morremo
Cos'è gementi schiavi
questo remar remare?
Meglio morir tra i flutti
sul biancheggiar del mare
Remiam finché la nave
si schianti sui frangenti
Alte le rossonere
fra il sibilar dei venti!
E sia pietosa coltrice
l'onda spumosa e ria
ma sorga un dì sui martiri
il sol dell'Anarchia
Sù schiavi allarmi allarmi!
L'onda gorgoglia e sale
tuoni baleni e fulmini
sul galeon fatale
Sù schiavi allarmi allarmi!
Pugniam col braccio forte!
Giuriam giuriam giustizia!
O libertà o morte!
Falci del messidoro
spighe ondeggianti al vento
voi siate i nostri labari
nell'epico cimento
Giuriam giuriam giustizia!
O libertà o morte!
Giuriam giuriam giustizia!
O libertà o morte!