DIARIO DI BORDO - Giorno 28

Опубликовано: 06 Апрель 2020
на канале: Doro Gjat & Carnicats
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Quello che dice il titolo, niente di più, niente di meno. Pensieri, riflessioni, suoni e immagini per dare a questo momento epocale che stiamo vivendo, un motivo in più per essere ricordato.

Le parole sono di Doro Gjat (IG: @dorogjat)
I suoni sono di Jamie Fields (IG: @iwantallthemcnuggets)
I video me li hanno mandati @n.ikys @lara_s_22 Anna di Sacile @elvisfior @brokenaxe87 @_fr3ncy18_yt @matte0piva @marzia96lol Manuela Garbin e Giuly Mazzolini (sequenza iniziale involontariamente perfetta).

Ieri ho aperto le finestre e ho lasciato che entrasse la primavera. Io da lei non posso andare, sono bloccato qui, quindi l’ho invitata ad entrare e ci ho fatto due chiacchiere. Poi mi sono sporto dal balcone e ho lasciato che lo sguardo vagasse verso nord, lassù dov’e casa, dove l’aria è più limpida, dove il cielo incontra le cime innevate. Ho guardato verso nord e ho realizzato quanto mi mancano le montagne: l’aria frizzante del mattino che ti sfiora la pelle nuda e smorza il calore dei raggi del sole, il vento forte del tardo pomeriggio che sferza i pascoli ad alta quota e ti rimbomba nelle orecchie come il rotore di un aereo, le nuvole veloci che si rincorrono sopra la tua testa, più vicine che altrove, sembra quasi di toccarle… Ho realizzato quanto mi manca tutto questo. In una recente intervista ho sentito che Marracash, un rapper di Milano, diceva quanto il suo quartiere fosse stato importante nella sua carriera, quanto le strade e i palazzi fossero stati il motore che gli metteva in moto la creatività. E a quel punto ho pensato che il ghetto di cemento e asfalto di Marracash non è poi tanto diverso dal mio ghetto di roccia e vento; ho capito quanto sono state importanti quelle montagne lassù, a nord, per mettere in moto la mia ispirazione in tutti questi anni trascorsi tra palchi, stanze fumose piene di fogli di carta scribacchiati e studi di registrazione. E me le sono immaginate oggi, abbandonate dall’uomo, tornate ad essere dominio incontrastato della natura. Mi sono immaginato la casa dove è nato mio nonno, lassù, a 1000 metri di altitudine, in prossimità di un valico tra due valli strette e tortuose, sola in mezzo a una vastità silenziosa e imperturbabile che, per un momento, è tornata a farla da padrona, come non succedeva da ben prima che mio nonno nascesse. Ho immaginato la natura sorridere tra sé e sé, pensando a tutti i segnali che ci aveva mandato per farci capire che no, non potevamo continuare a trattarla così, come la nostra fonte di profitto, come una nostra proprietà di cui potevamo disporre indiscriminatamente. Me la sono immaginata sussurrare amorevolmente, “ve l’avevo detto”, un po’ rimprovero, un po’ promemoria per il futuro; e il suo messaggio ha viaggiato nel vento, fino a qui, fino a questo balcone da cui mi sto sporgendo. Ho pensato a questo, mentre il mio sguardo vagava verso nord.

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